martedì 13 gennaio 2015

DIARIO VIAGGIO KENYA: Una giornata " particolare "



" Dove nascita e morte, prepotenti, cantano l'inno alla vita" 

Questa frase,” dove nascita e morte, prepotenti, cantano l’inno alla vita” letta non ricordo dove, mi ha colpita, e ho capito dopo questa giornata, che è vero, tutto è Vita
E’ una calda giornata africana, questa mattina, dopo essere andata al mercato, e a trovare mama Zawadi, mi siedo in un bar a Timboni, prendo una soda, mi godo il via vai di persone. Matatu colorati, che sfrecciano con la musica a tutto volume, stracarichi di persone e pacchi; polvere che si alza in piccole nuvole e rende la luce del sole come coperta da un velo, come un pizzo che scherma la luce. Piccoli gregge di caprette, nere, rosse, rosse e nere; piccoli che saltellano e rincorrono le madri, che mangiano tutto quanto trovano di colore verde !! Trovare una pianta a bordo strada, o fuori da una casa che non sia smangiucchiata dalle caprette è veramente un’impresa !! Mi fanno sorridere, con il loro saltellare, i loro belati per chiamare un piccolo che si attarda e poi trotterella per raggiungere la mamma.
Mentre siedo a bere, chiacchieriamo, arrivano altre persone, e le notizie che portano non sono belle!! Ieri sono morte due persone che conoscevo !! Due incidenti, un uomo investito da un’auto, l’altro caduto da un albero che stava potando. Il destino a volte è crudele, qui lo è ancora di più !
Torno a casa, non ho voglia di pranzare, penso a quelle 2 famiglie, ora per loro la vita sarà ancora più dura di prima. Oltre alla perdita, avranno ancora più difficoltà a sopravvivere!
Durante il pomeriggio, ricevo una telefonata, ci diamo appuntamento per cena. Ci incontriamo in un ristorante africano a Watamu. Mentre parliamo mi chiede: “Cris, giovedì ci sarà il funerale, vieni anche tu? “
Resto sorpresa da questa richiesta. “E’ vero che conoscevo M, ma non così bene da partecipare al lutto famigliare. No, non me la sento, non me la sento di venire a disturbare in un momento così intimo, non voglio che possano pensare che per me (sarò l’unica bianca) sia come una “gita”. Oltretutto lo conoscevo solo di sfuggita, non conosco nemmeno la sua famiglia!! “ ribatto.
Mi guarda stranito! Capisco che, quella che per me è una risposta logica, per lui no !!!
Ed infatti mi dice “Non capisco questo modo di pensare !! perché dovete rendere così complicata una cosa così naturale?  Vuoi dirmi che se il tuo vicino di casa muore, ma lo conoscevi poco, non vai al suo funerale ? Andare al suo funerale vuol solo dire salutarlo,
dimostrare che sei vicina alla famiglia. Niente altro!! Non vuol dire niente il fatto che tu sei bianca !!!”
Non so cosa rispondere. Ha ragione. Mi ha fatto sentire piccola. Il pudore che proviamo noi di fronte alla perdita di qualcuno, il pudore a dimostrare dolore. Il pudore ad abbracciare una persona che conosciamo poco, anche solo per dimostrare vicinanza in quel momento così doloroso per lei. Sovente per noi è considerato un’intrusione alla vita intima. Qui non è così ! Qui è “naturale” !! Ed è giusto così. Partecipazione sia alla gioia, che al dolore. In pratica partecipazione alla “vita”. E la vita comprende tutto.

kenya mascris

Eccomi qui, sono vicino al mercato. Sto aspettando che passino a prendermi. Sento uno strombazzare, un pulmino si ferma. Scende Samuel, eccoli arrivati. Sui sedili posteriori ci sono già una decina di persone. Mi fanno sedere davanti. Sto per protestare ! Perché dovrei sedermi io davanti ? Vorrei dire “ se volete farmi sentire a casa, se volete farmi sentire anche solo un po’ integrata e non solo una turista, allora dovete trattarmi come gli altri, e quindi il posto davanti non mi spetta !!” Ma resto in silenzio. So che se lo dicessi, non capirebbero. E’ il modo per dimostrarmi rispetto.
Ma…forse non è proprio rispetto, mmhhh ho un dubbio ! ed io preferirei essere seduta dietro. Eh si, perché, il motore è posizionato proprio sotto il mio sedile !!! e non è proprio piacevole mi sembra di essere seduta su di un forno. Va beh ! Mi presento. E’ un continuo scambio di sorrisi, di presentazioni, di “habari gani?” Ecco, so già che alla fine tutti si ricorderanno il mio nome, ed io nessuno dei loro!!
Infatti Samuel mi guarda, e scuote la testa ridendo !! Eh si, mi conosce bene. So che quando incontreremo nuovamente qualcuno di loro, mi guarderà sorridendo e mi chiederà: “ti ricordi vero? L’hai conosciuto…” e mentre me lo dirà sorriderà !!
Partiamo, andiamo verso Gede, a circa 6km da Timboni, svoltiamo sulla strada che porta a Mombasa…mmmhhhh non ho nemmeno chiesto dov’era il funerale, ho dato per scontato che fosse in un villaggio vicino! Ecco, non è così !! Prendiamo la strada che porta in savana, attraversiamo villaggi che non ho ancora visto. La strada sale un po’, poi ridiscende, ci sono campi coltivati a mais. Enormi alberi di mango, di varie specie, mango rossi, gialli, tondi, allungati. La vegetazione è sempre più secca, non piove da molto. Ora passiamo attraverso un piccolo villaggio, oltre non vedo vere “strade”…dopo una curva, la strada sale, va beh strada si fa per dire. Ormai è un largo sentiero, con un profondo solco al centro. Stiamo salendo su una collina. Se una delle ruote finisse nel solco, resteremmo lì !!! Ma l’unica preoccupata sono io, tutti gli altri, parlano, discutono, sorridono. Dopo circa un’ora e mezza di arriviamo !


kenya watamu mascrs



La shamba di M, è in una posizione stupenda, in cima ad una collina, alberi di mango con foglie color smeraldo che fanno ombra alle tante persone venute a salutare la famiglia. Papaie quasi mature, un piccolo campo coltivato a mais con le striminzite pannocchie aggrappate al fusto. Le donne, avvolte nei loro kanga, tessuti di cotone, coloratissimi con stampati proverbi e detti in kiswahili. Gli uomini, silenziosi, sono i custodi della comunità. I bimbi sono i più curiosi, si avvicinano, uno allunga una manina e la stringe alla mia. Qualcuno alza gli occhi, leggo una domanda non pronunciata :” questa muzungu cosa ci fa qui ?” ma nessuno la articola verbalmente. Sotto una grande tenda allestita per la triste occasione, ci sono tantissime persone, mi avvicino con gli altri, stando andando a dare l’ultimo saluto a M. a stringersi alla sua famiglia. Samuel, è preoccupato per me, mi dice che forse è meglio se non vado anch’io a dare l’ultimo saluto a M. ha timore che possa farmi effetto vedere una persona morta. Gli sorrido, mi stringe la mano e ci incamminiamo. Abbraccio la moglie, i figli. Mi accorgo che adesso, per tutti, vedermi lì con loro è già naturale. Mi siedo assieme agli altri su un tronco poggiato a terra, all’ombra di un arbusto. Gli occhi mi si riempiono di lacrime salate. Vicino a me, coricato a terra, uno dei figli di M. E’ il più grande, ma è ancora un ragazzino. Sta piangendo, in silenzio. Piange la morte del padre, piange la grande responsabilità della famiglia che da adesso sarà soprattutto sulle sue piccole, delicate ma robuste spalle. Da ora in poi dovrà essere lui l’uomo di casa, avrà lui la responsabilità di sua mamma, dei suoi fratelli. Alza lo sguardo, e incontro due occhi neri, color lava, carichi di mille paure, di speranze spezzate. Mi avvicino, lo abbraccio. Non una parola, nulla, solo un forte abbraccio, tra due persone che non si sono mai viste, ma una sensazione di appartenenza mai provata. Sono qui, in questo mondo così lontano, mi rendo conto, che mi hanno accettata, senza nessuna remora, riserva.
Hanno capito che non sono qui a curiosare.
kenya mascris

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Dopo il funerale, la gente riprende la strada di casa, chi a piedi, chi in bicicletta. Anche noi ci allontaniamo, torniamo. Durante il viaggio di ritorno, mi guardo attorno con occhi nuovi, guardo il paesaggio conosciuto come se lo vedessi per la prima volta.
Sorrido e ci sono anche grandi lacrime che ruzzolano silenziose. Questa terra, un po’ anche mia, viva, toccante, triste, dura, appassionata, deludente, vera, mi accoglie e io mi rifugio sempre più tra le sue forti braccia.


















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